La vicenda della pubblicazione delle intercettazioni in carcere durante il colloquio tra Filippo Turetta, reo
confesso omicida di Giulia Cecchettin, e i genitori sta solleticando l’opinione pubblica e aggiungendo un
ulteriore tassello mediatico ad un caso diventato, ormai, emblema di più di una battaglia, non ultima
quella della “vittimizzazione secondaria” che deriverebbe dalle parole di un padre che – non sappiamo
nemmeno quando – disperatamente cerca di fare forza ad un figlio perso, reo confesso di un omicidio che
ha occupato le prime pagine di ogni giornale anche grazie alla rocambolesca fuga all’estero subito dopo il delitto.
Di più: come ricorda oggi Giandomenico Caiazza abbiamo costretto questo padre a scusarsi, a qualificare
le proprie parole come “stupide”, finendo per scomodare illustri psicologi da televisione che ci insegnano
come “giustificare sempre i figli sia sbagliato”.
L’ultimo tassello di questo processo mediatico &, dunque, quello di sfamarci della bramosia di giudizio
nell’ansia di sedersi sempre e comunque dalla parte della vittima; in quest’ottica niente può essere
perdonato, nemmeno la paura di un genitore, nemmeno la privacy di un colloquio riservato, nemmeno la
decenza di non accompagnare la notizia di quel colloquio con la foto nella sala del carcere dei genitori
protesi verso il tavolo e del figlio che, perso, guarda altrove.
C’é una paura, lecita, in tutta questa vicenda, ed è quella di trovarsi un giorno da una parte o dall’altra
di quel tavolo; c’è una certezza, che è solo I’ignoranza del contesto in cui quel colloquio si è svolto; c’è un
totale spregio delle regole – quelle etiche per prime – da parte di giornalisti, editorialisti e investigatori
sull’opportunita e sull’utilita di queste pubblicazioni.
C’è la convinzione che, anche questa volta, la fuga di notizie non sara oggetto di alcuna indagine, neppure da parte dei solerti ispettori del Ministero, e, per ‘ennesima volta, ci si accontentera di qualche commento sdegnato sui social.
Manca solo di ricordare quello che non c’è, ovvero la tutela del colpevole, i cui diritti devono, comunque,
essere sempre garantiti.
C’è il bisogno, banale, scontato, ovvio di riconoscere le atrocita del crimine commesso e di abbracciare
idealmente il dolore delle vittime.
Ma anche quello scomodo, impopolare, inviso a una societa assetata di linciaggi di tutelare i diritti di
tutti: degli offesi, dei detenuti, dei padri che conservano il diritto di fare i padri.
Senza sentirsi in dovere di chiedere scusa.
Le scuse, in questa squallida vicenda di divulgazione dell’angoscia, senza fini investigativi, le devono in
tanti, non il Signor Turetta.